REGOLE E FUNZIONAMENTO DEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO NEL 2015.
Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale esiste un tempo ben preciso di durata del contratto con una data che indica la fine del rapporto.
L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell’atto medesimo.Nel nostro ordinamento, il rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di un datore di lavoro, trova la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato, cioè in un contratto che non prevede l’indicazione di una data di conclusione del rapporto, determinando un miglioramento della qualità della vita, anche psicologica, e di stabilità economica dei lavoratori.
Quale è il vantaggio che offre, invece, un contratto di lavoro a tempo determinato? Sicuramente,
tale tipologia contrattuale risponde, in determinate circostanze, sia
alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori in
maniera più efficace rispetto ad un contratto a tempo indeterminato. Il contratto di lavoro a tempo determinato, inserito in un contesto in cui è possibile una partecipazione continua al mercato del lavoro con la percezione di un reddito adeguato per la pianificazione della propria vita, può costituire espressione della c.d.“flessibilità buona” per il lavoratore e per il datore di lavoro. |
Una novità di primo piano è quella dell’eliminazione dell’obbligo di specificare la causale, vale a dire la motivazione che giustifica l’apposizione del termine: il datore di lavoro, in virtù della nuova disciplina legislativa, non deve più indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo hanno indotto ad utilizzare la forma contrattuale a tempo determinato.
Si parla, quindi, di contratto a termine a-causale, che può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a termine sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato.
Il contratto a termine a-causale non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi. La proroga, per la quale è necessaria la forma scritta, è ammessa a condizione che si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato, senza l’onere, a carico del datore di lavoro, di fornire la prova della causale che giustifica la prosecuzione del rapporto.
Se dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima complessiva di 36 mesi, il lavoro prosegue di fatto:
- per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi)
- per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi),
Cosa succede se, invece, il rapporto di lavoro oltrepassa questo breve periodo “cuscinetto” di 30 o 50 giorni?
Il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato a far data da tale sconfinamento.
Per non cadere nel regime sanzionatorio del contratto a termine, è necessario, inoltre, che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali:
- intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi
- intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.
Raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto mansioni equivalenti, il datore di lavoro ed il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine.
Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la Direzione territoriale competente, con la presenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato che non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°gennaio dell’anno di assunzione; per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi nazionali hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato.
Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, si stabilisce soltanto una sanzione amministrativa – i cui introiti confluiscono nel Fondo sociale per occupazione e formazione - a carico del datore di lavoro pari:
- al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore assunto in eccedenza al predetto limite;
- al 50% della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza.
Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.
Fermi restando comunque i diversi limiti quantitativi stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali, per i datori che alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 34/2014 occupino lavoratori a termine oltre al tetto legale del 20%, l’obbligo di adeguamento a tale soglia scatta a decorrere dal 2015, sempre che la contrattazione collettiva, anche aziendale, non fissi un limite percentuale o un termine più favorevoli.
Per i rapporti di lavoro instaurati precedentemente al 21 marzo 2014, data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 34/2014, che comportino il superamento del limite percentuale, non si applica la sanzione amministrativa di cui sopra.
Qualora il CCNL applicato non preveda alcun limite quantitativo, è introdotto l’obbligo per i datori di lavoro di rientrare nel limite percentuale del 20% entro il 31 dicembre 2014, pena l’impossibilità di stipulare nuovi contratti a termine.
Il lavoratore assunto contratto a tempo determinato per almeno 6 mesi, potrà far valere il diritto di precedenza sui nuovi contratti a termine stipulati dall’azienda per le stesse mansioni, nei 12 mesi successivi al termine del suo contratto. I periodi di astensione obbligatoria per le lavoratrici in congedo di maternità devono computarsi per la maturazione del diritto di precedenza. Le medesime lavoratrici avranno diritto di precedenza anche nelle assunzioni a termine per le stesse mansioni che avvengano nei 12 mesi successivi alla conclusione del loro contratto. Il diritto di precedenza vale anche per le successive assunzioni a termine stagionali.
La L. 92/2012 ha introdotto un aumento dell’aliquota contributiva pari all’1,4% per finanziare l’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), che verrà restituita al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato.
L'impugnazione stragiudiziale con la quale si intende far valere la nullità del termine va presentata entro 120 giorni dalla cessazione del contratto, mentre il ricorso al Giudice del lavoro va proposto entro i successivi 180 giorni.
In caso di illegittimità del contratto a termine, l'indennità risarcitoria e la conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato, è da considerarsi onnicomprensiva di tutti i danni e pregiudizi retributivi e contributivi subiti dal lavoratore. L’indennità è pari a un importo che va dalle 2,5 alle 12 mensilità.
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